Sicurezza e salute per i lavoratori che usano i telefoni: storica sentenza in Italia

La decisione del tribunale di Ivrea ha già fatto storia ed è diventata un caso sul quale si stanno concentrando gli occhi di tutto il mondo. Il giudice della corte piemontese Luca Fadda ha stabilito in sentenza di primo grado che un dipendente della Telecom ha diritto a un risarcimento in seguito a una comprovata correlazione tra le sue mansioni lavorative e l’insorgere di una grave malattia. Il signor Roberto Romeo per circa 15 anni ha utilizzato il telefono cellulare per più di tre ore al giorno, le cui onde elettromagnetiche sono state causa dell’insorgere di un tumore diagnosticato nel 2010, benigno ma invalidante, che ha comportato l’asportazione del nervo acustico e la conseguente sordità dell’orecchio destro. Al signor Romeo l’Inail sarà tenuta a pagare la rendita perpetua per il danno sul lavoro.

Si tratta di un passo decisamente importante verso una sempre più completa e coerente gestione della valutazione dei rischi per i lavoratori in azienda, che, seppur lentamente, sta portando a nuove forme di consapevolezza tra istituzioni, dipendenti e, di conseguenza, datori di lavoro.

È bene precisare che la legislazione italiana non è sprovvista in materia. L’Art. 180 del Decreto 81/08, infatti, stabilisce che tra gli agenti fisici considerati nella Valutazione dei Rischi vi sono i campi elettromagnetici, senza dimenticare che anche la IARC (International Agency for Research on Cancer) ha classificato le radiofrequenze come possibilmente cancerogene (gruppo B2), soprattutto per le oscillazioni delle radiazioni che possono verificarsi nel corso della telefonata o dell’utilizzo dei cellulari. Basti pensare alle variazioni di campo quando ci si sposta da un luogo a un altro.

Pur riconoscendo che, al momento, la comunità scientifica non ha dimostrato una relazione causa effetto certa tra cellulare e forme tumorali, è innegabile che la sentenza di Ivrea aprirà nuovi scenari in materia, in quanto ha certificato l’esistenza di un legame tra l’insorgere della malattia e il cosiddetto “uso scorretto” del dispositivo. È una definizione che potrà portare a una revisione delle attuali linee guida, finalizzata alla fissazione di limiti realmente cautelativi di esposizione, abituale e per lungo tempo, ai telefoni mobili.

Ad ogni modo, occorre adoperare sempre misure di tutela e auto-tutela, che possono essere sostanzialmente sempre molto simili, sia in caso di attività lavorativa, sia per l’uso quotidiano provato.

Tra di esse, eccone alcune elencate dall’ATS Milano Città Metropolitana, che riteniamo importanti e complete:

Preferire l’invio di un messaggio invece di chiamare, evitando comunque lunghe telefonate e utilizzando sempre l’auricolare.

Privilegiare aree dove c’è pieno campo, limitando l’uso del cellulare se in auto, in treno o comunque in movimento, perché il cellulare emette più radiazioni. Chiaramente, non distrarsi parlando al telefonino: si rischia un incidente!

Evitare di tenere il cellulare a contatto col corpo: non tenerlo nelle tasche dei pantaloni o della camicia, meglio in borsa o zaino e posarlo su un piano appena possibile.

Non tenere in carica il cellulare o il cordless sul comodino durante la notte, ma posizionarlo lontano dai luoghi dove le persone stazionano a lungo.

Non addormentarsi col cellulare acceso sotto il cuscino o troppo vicino e, soprattutto, non lasciarlo fare ai bambini e ai ragazzi.

Usare il telefono fisso tutte le volte possibili: non produce onde radio e non ci sono rischi per la salute.

 – I cellulari non emettono tutti lo stesso livello di radiazioni: scegliere, pertanto, il telefonino che produce il minore tasso di assorbimento specifico (detto anche TAS o SAR). Tale dato deve essere indicato nel manuale di istruzioni di ciascun telefonino e non può superare i 2 W/kg.